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venerdì 13 febbraio 2015

GIOVANNI VERGA - Rosso Malpelo - Analisi

ROSSO MALPELO – Giovanni Verga

  1. Ricostruisci, riferendo passi precisi del racconto, la visione del mondo di Rosso.
Questo è ciò che Rosso Malpelo pensa alla morte del suo unico compagno, Ranocchio:

Allora il Rosso si diede ad almanaccare che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo era sempre stato debole e malaticcio, e l’aveva tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui perché non aveva mai avuto timore di perderlo.

Dà i brividi pensare che queste parole siano pronunciate da un bambino, nell’età in cui il mondo dovrebbe apparire affascinante e straordinario, semplicemente bello. Rosso non è più un bambino curioso, è già un adulto che ha un preciso pensiero sul mondo, e che in un’amarissima rassegnazione non può far altro che costruire una salda filosofia etica dove non c’è posto per la fiducia né l’amore né fragilità umana. Questo forse perché nessuno lo ha mai amato, e nessuno gli ha fatto conoscere che la vera vita non è solo fatica, lavoro duro, morte, lotta per la sopravvivenza. Nella sua breve vita non ha visto nient’altro. Quello di Malpelo è un mondo dove vige la legge del più forte:

L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi.

E ancora:

Se ti accade di dare delle busse, procura di darle più forte che puoi; così coloro su cui cadranno ti terranno per più di loro, e ne avrai tanti di meno addosso.

Così ciascuno tenta di sopravvivere eliminando la propria debolezza e non facendosi sottomettere dagli altri, che in questo sistema sono visti come possibili minacce da cui guardarsi e premunirsi. Un mondo dove ciascuno vive da sé (anche se poi lo stesso protagonista cederà alla necessità umana di avere rapporti, stringendo un rapporto con Ranocchio, che però rimane di subordinazione).
Non solo gli altri uomini possono essere ostili, ma anche la natura:

La rena è traditora […]; somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui.

Il lavoro quindi non è qui compimento della natura umana, ma un immenso sforzo di sopravvivenza, una lotta contro una natura matrigna (come direbbe Leopardi) per la supremazia: pena, la morte.
Nel mondo di Malpelo non c’è posto quindi per la compassione, per la pietà, per la carità, per il desiderio di bellezza, per l’affezione a qualcosa; il rapporto con gli uomini, come del resto con gli oggetti, è di mera utilità personale: quando questa viene a mancare, viene a mancare anche il valore della cosa o della persone. Tutto ha un valore finché è utile, non c’è spazio per l’affetto. Dice infatti il Rosso riferendosi all’asino morto di stenti e di vecchiaia:

Gli arnesi che non servono più si buttano lontano.

E davanti al compagno Ranocchio che sta per morire:

È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire in tal modo, è meglio che tu crepi!

La morte non è più temibile né negativa se è considerata come fine del dolore, abisso incosciente.
Ranocchio aveva paura delle civette e dei pipistrelli; ma il Rosso lo sgridava perché chi è costretto a star solo non deve aver paura di nulla, e nemmeno l’asino grigio deve aver paura dei cani che lo spolpavano, ora che le sue carni non sentivano più il dolore di essere mangiate.

La cosa peggiore che possa accadere è quella di essere come l’asino, un debole, pestato da tutti, spendere la vita nel dolore. Per questo arriva a dire, guardando dall’alto del dirupo la carcassa dell’animale morto:

Adesso non soffriva più […] E se non fosse mai nato sarebbe stato meglio.

L’uomo è spinto nelle sue azioni solo dall’istinto di sopravvivenza, e quando si trova nelle situazioni più estreme non dà spazio nemmeno alla paura per poter preservare la sua vita, come testimonia l’esempio della cagna affamata che non dà peso alle sassate dei ragazzini:

Vedi quella cagna nera, gli diceva, che non ha paura delle tue sassate; non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole.

Nel mondo di Malpelo prevale quindi un’amara rassegnazione nell’accettare la crudeltà imposta della vita, senza farsi troppe domande, senza lamentarsi. Il suo ragionamento è perfettamente logico, ma non intelligente, perché esclude diverse parti della realtà e diverse dimensioni umane.

Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa bella o brutta.

Infine c’è la morte, che domina nel mondo, che spazza via tutto ciò che resta delle cose e delle persone, di cui non rimangono che le ossa. Tutto si svolge in un’ottica di necessità crudele perché insensata. Non dura neanche il ricordo o l’amore, il grande assente di tutta questa visione del mondo;anche gli occhi della madre di Ranocchio prima o poi si asciugheranno.

Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche del Ranocchio sarebbe stato così, e a sua madre gli si sarebbero asciugati gli occhi.

  1. Sono importanti, nella novella, i riferimenti alle figure animali dell’asino e del cane. Dopo aver analizzato i passi in cui compaiono, ricostruisci il significato simbolico dei due animali.
L’asino è il simbolo del debole, di colui che spende una vita da sottomesso, da tristo.
I cani invece sono quegli animali che agiscono secondo l’utilità, la cui azione è determinata dal loro istinto di sopravvivenza; è proprio seguendo questo che rappresentano i forti, che sbranano (anche letteralmente) coloro che sono più fragili e si lasciano sottomettere.

  1. La novella è scandita da tre morti che assumono un significato profondo. Analizza i tre momenti narrativi, e rifletti poi sul senso che la morte assume all’interno della visione del mondo di Rosso.
La morte è la fine del dolore. Non è considerata negativa, anche se ad un certo punto il Rosso trema al pensiero di morire disperso nella cava, un puro momento di umana fragilità. Malpelo vede la morte del padre esattamente come quella del povero asinello: sono entrambi dei deboli che si sono lasciati sottomettere, uno dalla rena, l’altro dalle bastonate. Così è anche la morte di Ranocchio, che era debole anche lui, un marmocchio non ancora slattato. Rosso si sentirà orgoglioso di essere più forte di Ranocchio, denunciando così un’estrema insensibilità. Ma non solo i più deboli muoiono: si assiste alla morte dello stesso protagonista alla fine del testo; è interessante però notare una differenza: la morte di Malpelo assume un carattere mitico. Quindi non tutto di lui è morto sotto la rena.

  1. Fai attenzione ai colori che ricorrono nella novella: il rosso, il nero e, anche se solo di sfuggita, l’azzurro e il verde. Interpretane il valore simbolico.

Il colore rosso è associato ai capelli del protagonista, proprio per questo chiamato Malpelo. Secondo il pregiudizio popolare, si vedeva nei capelli di color rosso la prova di un carattere malvagio, logica distorta che ha aiutato il ragazzino a sviluppare proprio ciò di cui si era convinti. Rosso è anche il colore della rena, per zappare la quale sembra essere nato apposta Malpelo; lo stesso colore del pilastro che schiaccerà suo padre sotto le macerie. Il nero è il colore dei bui cunicoli della cava: rappresenta la dura realtà che il ragazzo deve affrontare ogni giorno. È il colore dell’inferno, cioè del mondo sotterraneo della cava, di cui viene marcata la differenza con il mondo arioso e luminoso della superficie: nero è il labirinto intricato e buio dove l’uomo si perde e finisce per morire, là dentro la montagna. Ma nero è anche il colore della notte, benevolo perché cancella tutto il mondo con il suo dolore almeno per qualche ora: è per questo che al Rosso non piacciono le notti con la luna luminosa.L’azzurro del cielo rappresenta il desiderio, che fa la sua breve comparsa anche nella vita di Malpelo, che pur sempre è un umano: lui desidera fare il lavoro del manovale, come Ranocchio, stare sui ponti all’aria aperta, col sole sulla schiena, oppure fare il carrettiere, e camminare per le belle campagne tutto il giorno, tra il verde del prato. Ma è cosciente che la realtà è un’altra e non può essere altrimenti: quello era stato il lavoro del padre e quello è il suo lavoro. 

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