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lunedì 11 febbraio 2013

DE BELLO CIVILI - Libro 1 - Capitolo 2


DE BELLLO CIVLI
Libro I – Capitolo II
LATINO

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Haec Scipionis oratio, quod senatus in urbe habebatur Pompeiusque aberat, ex ipsius ore Pompei mitti videbatur. Dixerat aliquis leniorem sententiam, ut primo M. Marcellus, ingressus in eam orationem, non oportere ante de ea re ad senatum referri, quam dilectus tota Italia habiti et exercitus conscripti essent, quo praesidio tuto et libere senatus, quae vellet, decernere auderet; ut M. Calidius, qui censebat, ut Pompeius in suas provincias proficieceretur, ne qua esset armorum causa; timere Caesarem ereptis ab eo duabus legionibus, ne ad eius periculum reservare et retinere eas ad urbem Pompeius videretur; ut M. Rufus, qui sententiam Calidii paucis fere mutatis rebus sequebatur. Hi omnes convicio L. Lentuli consulis correpti exagitabantur. Lentulus sententiam Calidii pronuntiaturum se omnina negavit. Marcellus perterritus conviciis a sua sententia discessit.
Sic vocibus consulis, terrore praesentis exercitus, minis amicorum Pompei plerique compulsi inviti et coacti Scipionis sententiam sequuntur: uti ante certam diem Caesar exercitum dimittat; si non faciat, eum adversus rem publicam facturum videri. Intercedit M. Antonius, Q. Cassius, tribuni plebis. Refertur confestim de intersessione tribunorum. Dicuntur sententiae graves; ut quisque acerbissime crudelissimeque dixit, ita quam maxime ab inimicis Caesaris collaudatur.

TRADUZIONE

Sembrava che questo discorso di Scipione uscisse dalla bocca dello stesso Pompeo, poiché la seduta si teneva in città e Pompeo era alle porte. Qualcuno aveva espresso un parere più accomodante, come, prima di tutti, M. Marcello, che prese parola con questo discorso: non si doveva discutere di questa faccenda in senato prima che si fossero fatte le leve dei soldati in tutta Italia e si fossero arruolati gli eserciti, con il presidio delle quali il senato potesse osare deliberare con sicurezza e liberamente secondo la sua volontà; come Marco Calidio, il quale  era dell’avviso che Pompeo dovesse tornare alle sue province, affinché non ci fosse alcuna ragione di conflitto; Cesare temeva - secondo il suo avviso – che, essendogli state tolte due legioni, Pompeo le riservasse contro di lui e le tenesse vicino a Roma; come Marco Rufo, che quasi con le identiche parole manifestò lo stesso parere di Calidio. Tutti questi erano assaliti e investiti (essendo investiti) dalle invettive del consule Lucio Lentulo. Lentulo rifiutò decisamente di mettere ai voti la proposta di Calidio. Allora Marcello, atterrito da queste invettive, ritirò la sua proposta. Così la maggioranza, spinta dalle grida del console, dalla paura dell'esercito vicino e dalle minacce degli amici di Pompeo, contro la propria volontà e costretti loro malgrado, approvarono la proposta di Scipione: "Cesare congedi l'esercito entro una data stabilita; se non lo farà, mostrerà di agire contro lo Stato". I tribuni della plebe Marco Antonio e Quinto Cassio si oppongono. Si discute subito sulla questione dei tribuni. Si esprimono giudizi pesanti; quanto più uno parlava con toni aspri e duri, tanto più era applaudito dai nemici di Cesare.

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